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Anna Fulvio

Menopausa, come cambia il sesso dopo i 50.


È CONSIDERATA la Cenerentola degli studi sulla menopausa. Perché l’atrofia vulvovaginaleviene spesso dimenticata, lasciata a casa, nascosta sotto le lenzuola. Un disturbo di cui non si parla, a volte nemmeno con la ginecologa. Perché crea imbarazzo. Molte donne, poi, pensano che sia una condizione inevitabile: si invecchia, arriva la menopausa, quindi i rapporti sessuali diventano più difficili. E invece no. La secchezza vaginale, la perdita di elasticità, il prurito e la dispareunia (il dolore durante un rapporto sessuale) che caratterizzano l’atrofia vulvovaginale sono, certamente, sintomi di qualcosa di naturale, ma contro cui molto si può fare. «Quando si parla di menopausa si citano le vampate, i disturbi dell’umore, l’aumento di peso, ma raramente si parla di quello che accade a livello genitale, con la conseguenza che l’atrofia vulvovaginale rimane una delle conseguenze più marcate del calo degli estrogeni, sottodiagnosticata, e ancor meno trattata », ricorda Rossella Nappi ginecologa dell’università di Pavia e all’ospedale San Matteo. La comunità scientifica sa invece da tempo che il calo degli estrogeni che accompagna la menopausa comporta dei cambiamenti visibili e tangibili a livello del tratto urogenitale: le mucose diventano più sottili, meno idratate, più pallide, insorge bruciore, la vagina si accorcia e si restringe. Una condizione progressiva. «Possono esserci anche cambiamenti nel pH e nel microbioma locale correlati a cisti ricorrenti e disturbi urinari, con corse ripetute al bagno con la sensazione di avere la vescica piena anche se non lo è», riprende Nappi. Tanto che il famigerato calo della libido, ora legato al calo degli estrogeni e del testosterone, in molti casi in realtà nasconde un problema fisico. Lo ha ribadito, proprio nei giorni scorsi, uno studio presentato al meeting annuale della North American Menopause Society, secondo cui il dolore e i problemi alla vescica pesano per circa un terzo complessivamente nei motivi per cui ci si tiene lontani dal sesso.

Negli ultimi anni non si parla solo di atrofia vulvovaginale, ma più propriamente di sindrome genitourinaria della menopausa, a indicare tutta la rosa di sintomi che interessano la zona. Sintomi che possono anche non manifestarsi o comparire solo più in là con gli anni, ma che mediamente interessano circa la metà delle donne in menopausa, e non solo. «Anche le giovani donne con menopausa indotta dai trattamenti oncologici possono ritrovarsi a fare i conti con l’atrofia vaginale – continua la ginecologa – mentre nei casi in cui gli stessi disturbi compaiono in donne nella fase post-partum, magari per calo degli estrogeni associati ad allattamento prolungato, o in donne con pillole anticoncezionali a bassissimo dosaggio ormonale, parliamo più propriamente di pseudo atrofie vaginali». Ma se da un lato le donne spontaneamente ne parlano poco, quando sono interpellate ammettono facilmente che il problema esiste. Dall’altra parte, nemmeno tutti i medici sono ancora pronti a farlo: lo studio europeo Revive, condotto su oltre 3700 donne in Italia, Germania, Spagna e Regno Unito mostra che appena il 10% ha introdotto l’argomento dell’atrofia vaginale con le proprie pazienti. Ma se i sintomi ci sono, incoraggiano gli esperti, è necessario parlarne perché le soluzioni esistono. «Solo negli ultimi tempi le donne hanno imparato timidamente a parlarne. Prima erano bloccate dal pudore, e davano per scontato che certi aspetti della sessualità non dovessero più interessarle dopo una certa età», ricorda Elsa Viora, presidente dell’Associazione ostetrici ginecologi ospedalieri italiani. Ma la sessualità è un aspetto importante della qualità di vita, anche dopo i 50 anni. «Abbiamo diverse soluzioni per alleviare i sintomi dell’atrofia vulvo-vaginale, così ampie che se ne possono trovare praticamente per ogni donna – continua Viora - con terapie locali, a base o meno di estrogeni oppure sistemiche, quest’ultime da preferirsi quando sono presenti anche altri sintomi della menopausa ». Tra le soluzioni locali ci sono creme e gel idratanti, a base di acqua, acido ialuronico, vitamina E e colostro, ovuli, anelli e creme a base di estrogeni, per il rilascio localizzato di ormoni. O ancora, terapie orali che agiscono come regolatori dei recettori per gli estrogeni, ma che non sono ormoni e agiscono in modo selettivo solo sui tessuti genitali. Infine le terapie fisiche quali radiofrequenza o laser, che riscaldando il tessuto promuovono la produzione di nuovo collagene, sebbene l’American College of Obstetricians and Gynecologist consigli cautela, in attesa di nuove prove di efficacia. Senza dimenticare la ‘palestra’, allenando i muscoli del pavimento pelvico con gli esercizi di Kegel, e soprattutto l’attività sessuale: avere rapporti ricorrenti aiuta a mantenere più elastici i tessuti.

Fonte:http://www.repubblica.it

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