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Pipì a letto anche tra i 5 e i 14 anni. Niente vergogna, basta parlarne!


SUCCEDE, capita a tutti. Crescendo passerà. È solo un bambino timido, magari anche un po' pigro. Storie così, o simili, sui bambini che bagnano il letto di notte, abbondano. Eppure, la pipì al letto – nei tecnicismi enuresi – non è un problema strettamente psicologico. E piuttosto che aspettare che si risolva da sé, con il tempo e con la crescita, intervenire precocemente aiuta a risolvere il problema, e solleva il bambino dalle ripercussioni – quelle sì psicologiche – che l'enuresi si porta dietro. Ad affermarlo sono stati oggi un gruppo di esperti riuniti al Senato su iniziativa della Società Italiana di Pediatria Preventiva e Sociale (SIPPS), in collaborazione con l'Associazione di Iniziativa Parlamentare e Legislativa per la Salute e la Prevenzione. Forme e nomi diversi. Si impara a far pipì come si impara a masticare, a camminare. E ci vuole tempo, tanto che perché si possa parlare di enuresi, come emissione involontaria di urina (letteralmente “urinare dentro”) bisogna aspettare di aver superato i cinque anni di età. “Impieghiamo mediamente cinque anni per imparare a fare pipì, un tempo necessario perché l'apparato urinario raggiunga la sua piena maturazione - spiega Maria Laura Chiozza, urologa pediatra e ricercatrice presso l'Università degli studi di Padova – ma anche perché occorre del tempo perché da bisogno fisiologico immediato diventi un bisogno fisiologico che possiamo inibire, trattenendolo fino a farlo nel posto e nel momento giusto”. Dopo i cinque anni d'età però se gli episodi di pipì al letto non scompaiono, sono frequenti e durano per almeno tre mesi, così come se il bimbo urina poco o troppo durante il giorno, corre al bagno improvvisamente o si perde un po' di pipì meglio rivolgersi al pediatra. Tradizionalmente si identificano due forme di enuresi, quella monosintomatica, legata solo alla perdita di pipì, per lo più notturna, e quella non monosintomatica, quando compaiono anche altri sintomi: difficoltà a trattenere o emettere urina, corse al bagno, urgenza di minzione. Disturbi, non malattie tengono a precisare gli esperti, che si stima colpiscano oltre un milione di bambini e adolescenti tra i 5 e i 14 anni e che in alcuni casi possono trascinarsi anche oltre. Un disturbo soprattutto fisiologico. “Si tratta di uno squilibrio tra l'eccessiva produzione di urina durante la notte e la vescica che è più piccola rispetto alla capacità attesa per quell'età; il bambino non sente il bisogno di urinare e bagna il letto”, riprende Chiozza. Predisposizione famigliare, carenza e sfasamento del ritmo circadiani nella produzione dell'ormone antidiuretico, difficoltà nel controllo della vescica, come iperattività della vescica, possono essere tra le cause alla base dell'enuresi. “Si tratta di un problema soprattutto fisiologico che va preso in carico e contro cui oggi possiamo fare molto con le terapie, per esempio con soluzioni farmacologiche capaci di regolare il traffico di acqua a livello renale, alterato nei bambini con enuresi”. E lo stress? Lo stress – come quello legato alla nascita di un fratellino, all'inizio della scuola, alla separazione dei genitori – c'entra, ma per gli esperti riuniti oggi in Senato andrebbe visto più come un fattore scatenante che come la causa prima del disturbo, un fattore che porta a galla situazioni in cui i bambini per esempio hanno una vescica più debole da un punto di vista strutturale. “Facciamo attenzione allo stress, soprattutto come fattore capace di svelare problemi sottostanti”, precisa Chiozza. Crescere aiuta, ma non basta. Con la crescita cresce la prostata e compaiono gli ormoni che attenuano il problema, tanto che con l'andropausa e la menopausa le persone che da piccole avevano problemi di enuresi possono sperimentare problemi di incontinenza, continua la ricercatrice: “La prostata contiene la vescica meccanicamente, mentre gli ormoni attenuano l'iperattività vescicale e gli estrogeni nelle donne aumentano la tenuta dei tessuti intorno all'uretra”. L'importanza della rieducazione. Il messaggio degli esperti è che è importante allenare i bambini a una corretta pratica della pipì, educandoli per esempio a imparare a non stare molte ore senza urinare, a non rimandare eccessivamente e trattenere troppo a lungo, aggiunge Giuseppe Di Mauro, presidente della SIPPS. E importante è parlarne: che lo facciano i genitori con il pediatra, e che il pediatra affronti l'argomento con i genitori. Senza farlo pesare sul bambino e senza vergogna: “Ritardare di affrontare il problema ha ripercussioni importanti: il bambino che ha paura di bagnare il letto, spesso si vergogna, è frustato, può aver problemi di autostima, dorme poco o male, con ripercussioni anche sul rendimento scolastico”, spiega Di Mauro. D'aiuto può essere anche una corretta alimentazione e idratazione: “Se educhiamo i bambini a bere durante il giorno aiutiamo le loro vesciche ad allargarsi, le alleniamo con una sorta di fisioterapia naturale con messaggi che dal sistema uriniario arrivano al cervello e aiutano a regolare i processi fisiologici della produzione di urina e minzione”, riprende Chiozza. “I bambini italiani, come molti altri, sono dei bimbi ''all'asciutto', - conclude , conclude Chiozza - mentre sappiamo quanto sia importante bere, almeno 1,5 litri al dì, ma sarebbe importante rivedere anche alcune abitudini: la cena oggi per esempio si è trasformata in un momento sociale, con sovraccarico osmotico e di idratazione, che sarebbe meglio rivedere, contenendo per esempio, per i bimbi con enuresi, i consumi di sodio e calcio”.

Fonte: http://www.repubblica.it

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